9.00

Un album dedicato alla musica tradizionale giapponese.
Musiche registrate a 432Hz.

Descrizione

AUTORE: Massimo Claus


Massimo Claus ha dedicato questo album alla musica giapponese. Queste musiche sono ideali per i vostri momenti di studio e meditazione.

INTERVISTA A MASSIMO CLAUS

Come mai un disco di questo tipo? Da dove è nata l’ispirazione?

Ho pensato molto a questo progetto. Poi è arrivata la stesura della colonna sonora del documentario sul Taima Mandala. L’idea originale appartiene proprio a “A heart lost in Japan”. Da molto tempo sono un’appassionato di musica tradizionale giapponese che ascolto abitualmente – almeno quella che riesco a capire. Studiando il loro sistema musicale, mi sono accorto che le sensazioni che ricevevo erano molto simili a quelle che avrei voluto concretizzare in un album. Poi è arrivata la scelta sofferta di usare soltanto un suono tipico giapponese. Pensavo che questo riducesse notevolmente le possibilità espressive che avevo a disposizione, poi mi sono accorto che quella era la strada che volevo percorrere. La difficoltà è stata lasciare che fosse il suono a suggerirne altri e quali. Ho vissuto, e ancora vivo, ogni brano come una meditazione sulle sensazioni create dai suoni.

Nella sua carriera ha affrontato diversi generi musicali. Qual’è stata la difficoltà maggiore che ha incontrato nella registrazione di “A heart lost in Japan”?

Per me i vari generi sono solo mezzi per fotografare le diverse sensazioni. Come tutti non sono sempre uguale e allora seguo l’impermanenza e non mi preoccupo molto. Piuttosto cerco di non farmi prendere dalla fretta o dalla pigrizia. Quando ci riesco dormo meglio. Ho la fortuna di arrivare a molte persone nel mondo e mi è capitato di sentire e vedere quanto alcuni miei lavori siano importanti per le persone che seguono una certa nicchia musicale e non solo. Allora così come ti prepari accuratamente per un incontro importante, io cerco di passare nelle mani delle persone qualcosa in cui credo e che sento davvero.

Si è ispirato a qualche autore particolare?

Più che ispirarmi a qualche autore in particolare, mi sono affidato alle sensazioni come dicevo. Io sono italiano e per quanto mi possa ispirare questo non fa diventare i miei occhi a mandorla. Ciò per dire che quello che ho scritto non è musica tradizionale giapponese, ma credo che ci assomigli molto, o almeno questo è quello che sembra. Tu cosa ne pensi?

Già dal primo brano, immagino che pochi riuscirebbero a ricondurre quei suoni a delle mani occidentali, meno ancora italiane. Ascoltandolo, sembra un disco scritto tutto insieme, un brano dopo l’altro. È molto omogeneo. Quanto tempo ha impiegato a scriverlo e registrarlo?

Ho scoperto che tutto dipende da quanto è intensa la sensazione che mi ha portato al determinato progetto. Mi è capitato che a metà della realizzazione perdessi l’incanto e ho lasciato perdere – il progetto era dedicato alla situazione tibetana. Non so come sia avvenuto. Quello che so è che ho più di metà dell’album pronta e nessuna scintilla per continuarlo. Questo dura da anni oramai. Per “A heart lost in Japan” tutto è arrivato molto naturalmente. Credo che si senta, ascoltandolo. L’omogeneità della successione delle tracce è dovuta ad una esigenza meditativa. Chi ascolterà “A heart lost in Japan” durante la meditazione, si troverà così immerso in un paesaggio molto equilibrato, altrimenti, invece che essere un aiuto, la musica diventa una distrazione. La realizzazione è stata relativamente breve. La registrazione dell’album è avvenuta quasi contemporaneamente, perché volevo che fosse il più naturale possibile e vicino all’idea originale. Lo spirito è molto più simile ad un concerto che ad una registrazione discografica. Questo mi piace davvero molto di “A heart lost in Japan”.

Il tuo impegno nello studio e nella pratica del Buddhismo ha trasformato la tua musica?

Il Dharma ha trasformato me, di conseguenza anche la musica che scrivo. Il mio incontro con il buddhismo nasce da un racconto del Buddha e del Suo incontro con un flautista. Per questo accanto al mio altare c’è sempre un flauto di legno. Per ricordarmi da dove è nato tutto e non perdermi per strada.

La musica aiuta a perdersi o a ritrovarsi?

Io mi sono sempre ritrovato perdendomi. Più mi perdevo, più ciò che ritrovavo era utile per il cammino. Riesco ad affidarmi, ma la strada per lasciare andare la zavorra cambia spesso pendenza. A volte sembra in salita e lo è, altre riesci a camminare più comodamente. La musica è molto di più di quella che ci appare attraverso la radio o la televisione, perché riesce a toccarti nel profondo senza nemmeno sfiorarti fisicamente. Immagina se chi ha in mano le redini di questo mondo se ne accorgesse. Certo arriveremo ad assistere a bombardamenti di suoni. La musica è qui per aiutarci. Se ci vogliamo perdere, ci porta via, se vogliamo ritrovarci, ci chiede se davvero ci siamo persi.

Di certo sei un personaggio molto controverso e quelli che ti criticano per il tuo impegno nel Dharma asseriscono che tu sia una persona schiva, immersa nel tuo mondo.

Abito in una casa isolata fra due boschi con mia moglie e sette gatti. Non ho molte occasioni di vedere persone ultimamente, perché ho scelto di interrompere gli incontri di Dharma che ho sempre tenuto regolarmente per dedicarmi a tempo pieno ai miei libri e alla musica. Chi è davvero isolato poi con un computer e una connessione satellitare? In realtà non ho mai parlato così tanto e l’accoglienza che le persone riservano ai miei libri spesso mi imbarazza, perchè mi fa sentire utile. I miei libri dedicati al Sutra del Loto vendono più dei miei dischi e questo mi aiuta a scriverne altri. Sì, mi piace stare da solo, camminare per i boschi o guardare il colore degli alberi che cambia con il cambiare delle stagioni. Il mio mondo è fatto di natura, musica e preghiera, non necessariamente in quest’ordine. Mi sono accorto che mi riesce meglio scrivere che parlare alle persone, ma non sono il tipo burbero che descrivono. Rido spesso, specie quando sbaglio, di conseguenza dalla mattina alla sera.

Polimero da BuddhismoLoto